domenica 25 settembre 2022

Follie

La divisa invernale
 

Qualche giorno fa sono tornata a visitare l'Ospedale Psichiatrico di Palermo, un complesso architettonico davvero notevole ma soprattutto un luogo che evoca tante storie che, apparentemente distanti, in realtà ci riguardano tutti.  

Ero stata a visitare il complesso della Vignicella l'anno scorso: la ricostruzione delle camerate e il museo degli strumenti rendono solo parzialmente ciò che doveva essere la vita qui dentro. Forse quello che impressiona di più è l'enorme quantità di faldoni pieni di documenti e carte abbandonate nella stanza che dovrebbe fungere da archivio. Ognuna di quelle carte contiene almeno una storia e ancora una volta la memoria delle vite di queste persone, relegate al margine della città per nasconderle alla vista della società civile, rischia di perdersi del tutto.

 
La Vignicella, ex casa di campagna dei Gesuiti,
poi utilizzata come succursale della Real Casa dei Matti del Barone Pisani

Questa volta, la nostra guida è stata Sebastiano Catalano, una persona davvero encomiabile che ha lavorato in questo luogo quando la sua funzione era notevolmente cambiata, dopo la legge 180.
Per la prima volta dunque sono entrata nei padiglioni nati tra la fine dell'Ottocento e i primi decenni del Novecento. Se è possibile utilizzare il termine "affascinante" per questo luogo, ecco, beh, lo utilizzerò. 

L'emozione nel percorrere questi lunghi portici, e gli altrettanto lunghi corridoi, è tanta. Il pensiero va alla mia prozia, sorella germana di mio nonno, che qui ha lavorato per tanti anni e che sicuramente doveva portarsi dentro tanta pena per le persone che qui erano recluse.


Tanti erano i motivi per cui si poteva finire qui dentro e non tutti avevano a che fare con la malattia mentale: talvolta era un modo per escludere qualche fratello o sorella da un'eredità, o sbarazzarsi di una moglie o di una figlia vagamente "strane". 

Qui venivano allevati anche i figli illegittimi, che non avevano alcuna patologia ma erano destinati a essere esclusi dalla società per una "colpa" che non avevano commesso.

Una follia, senza dubbio: quella di chi ha adottato questo sistema per risolvere un problema imbarazzante.

Entrare qui dentro significa infatti fare i conti con una parola che spesso pronunciamo con troppa leggerezza: normalità. Chi stabilisce che cosa è la norma e chi è normale?

In molte di queste persone, se solo entriamo in punta di piedi nelle loro storie, potremmo rischiare di rispecchiarci e ritrovarci: una tendenza a sognare, a immaginare, un'inclinazione malinconica o soltanto uno sconfinato bisogno di essere amati, se giudicati fuori norma, aprivano le porte di questo luogo. 


Tra i padiglioni che abbiamo visitato, c'è un giardino intitolato a Maria Ermenegilda Fuxa, una delle ospiti dell'Ospedale Psichiatrico di cui - grazie anche al signor Catalano e agli studi di Maria Teresa Lentini - si conosce meglio la storia e soprattutto la poesia.


Entriamo calpestando le foglie che già formano un tappeto in questo giardino. Il suono di questo luogo evoca le passate stagioni, e la presente e viva, soprattutto quando viene letta la prima poesia di Maria Fuxa:
Sospiri di foglie morenti

Mi distrugge / un grave peso... Incatenata / io sono in una fossa... / Sento il caldo richiamo /del vasto luminoso azzurro, / ma il gelo di grate mi piaga... // Mi avvelena / la tristezza della prima foglia / che cade morta, già, / quando tante verdi foglioline /gioiosamente danzano... // Il mio cuore batte / al soffocato ritmo / dei sospiri di foglie morenti...

Arrivare qui perché il dolore è troppo forte e ti fa perdere la ragione: Maria Fuxa visse qui perché il suo fidanzato la tradì con la sorella gemella, che poi sposò. Visse qui perché, venendo a mancare i genitori, l'unica parente che le rimaneva era la sorella snaturata, come la chiama nei suoi versi. 



La poesia le salvò la vita, letteralmente. 
Amava il cielo azzurro e di certo come me amava le nuvole che si colorano durante il trascorrere del giorno. E non posso fare a meno di pensare a quante persone (donne soprattutto, guarda caso, penso ad Antonia Pozzi) hanno vissuto sul filo del confine tra "normalità" e follia.

 

(Penso anche che in altri tempi avrei potuto finirci anche io qui dentro.)

La visita mi ha fatto tornare in mente il film che ho visto mercoledì, L'immensità di Emanuele Crialese, e lo struggente libro L'estate del '78 di Roberto Alajmo: storie di donne, di famiglie, di coppie, di figli e figlie, di persone che a un certo punto non reggono più. Ma il fatto che a un certo punto uno non regga più non vuol dire che sia folle: forse a volte vuol dire che non accetta più il fatto che tutto quello che li circonda sia considerato normale.

Di questo parla anche, in parte, un libro che ho divorato in anteprima ieri... ma ve ne parlerò prossimamente!

Nessun commento:

Posta un commento

e tu che ne pensi?