A setacciare si trovano pepite.
Prima di incontrare Tina Festa, che ha diffuso in Italia questa tecnica e ne ha fatto un vero e proprio metodo, conoscevo una sola opera
d’arte realizzata così: quella che sta dietro Philippe
Daverio nel suo Passepartout (l'opera si intitola Expédition nocturne ed è di Anna Rosa Gavazzi). Devo
anche aver visto qualcosa del mio conterraneo Emilio Isgrò, ma si dev’essere
depositata dentro di me senza lasciare traccia.
Quando ho scoperto il caviardage, inizialmente, ho dovuto
vincere le mie resistenze a violare la pagina scritta, quale che sia. Poi ho deciso
di partecipare a una sfida proposta da Tina nel suo blog a partire da una
pagina di un libro, Tistù, che poi
sono andata a leggere immediatamente. Incoraggiata dal risultato e dalla
bellezza delle parole contenute in quella pagina proposta, ho deciso di far
provare anche i miei alunni di V primaria.
Negli ultimi mesi,
sempre stimolata dai lavori del gruppo, dalle sfide proposte e da quanto mi
circonda, ho sviluppato sempre più la mia espressione artistica attraverso il
caviardage, al punto da farne una delle mie tecniche preferite.
Il passaggio dal tabù di violare i libri a quello di
realizzarne uno interamente utilizzando il caviardage ha segnato una tappa
importante nella mia vita (non solo artistica).
Salvare la bellezza in un mare di squallore.
Era questo quello che volevo fare. E
così, dopo circa nove mesi, quest’opera di gestazione si è compiuta, o meglio è
venuta alla luce. Alla fine, è la creatura
stessa che mi ha detto: “Fammi uscire.” Così per la prima volta ho compreso che
quello che avevo creato doveva vivere fuori di me. (Eh sì, sono una primipara
attempata).
Questa è più o meno la genesi di un'opera che purtroppo ha avuto vita breve. Ma è nata, ha vissuto ed ha avuto risonanza in tante persone. Questo conta.
Dopo la nascita del mio testo ricreato, grazie alla
segnalazione di Tina, sono venuta a conoscenza di un lavoro analogo compiuto da
Tom Phillips a partire dal 1966: la sua opera Humument ,
edita da Thames and Hudson per la prima volta nel 1980 e giunta nel 2012 alla
sua quinta edizione, è davvero monumentale ed è la dimostrazione che a
setacciare si trovano pepite.
Dalle 367 pagine di Humument emergono infatti non solo parole ma anche immagini in qualche modo inerenti al testo: ancora una volta, il legame (non più soltanto sintattico) viene ricreato in maniere talvolta sconcertanti o sorprendenti. Phillips si è dato un limite interessante: sfruttare come collegamento tra le parole gli spazi bianchi già esistenti nel testo. In compenso, ha usato una molteplicità di tecniche, combinandole per far emergere il sottotesto.
Credo che opere di questo genere suscitino tante domande:
può essere un’opera al contempo lineare e non lineare? In che rapporto stanno
il testo sommerso e il testo emerso, o tra il testo e il pre-testo? Quale tipo
di relazione si crea tra testo e immagine? E tra le parole? E tra le pagine?
Queste domande di senso hanno a che fare con il
mistero, come la bellezza.
Nell’ultima pagina del mio testo rimangono queste
parole:
Date un'occhiata anche alle opere di Austin Kleon, di Will Ashford, di Mary Ruefle (qui un suo articolo teorico molto interessante)...
la bellezza resiste
Date un'occhiata anche alle opere di Austin Kleon, di Will Ashford, di Mary Ruefle (qui un suo articolo teorico molto interessante)...
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