Lo confesso, la coincidenza è innanzitutto temporale: qualche giorno fa sono andata a vedere Barbie, il film di Greta Gerwig di cui tutti parlano (a ragione) e ieri ho vissuto una splendida giornata in compagnia di un caro amico di adolescenza: Il cavaliere inesistente di Italo Calvino. Cercherò di non svelare nulla, ma insomma, non ve l'assicuro!
Già alla visione del film, che - lo dico subito - ho apprezzato moltissimo (e che va al di là della questione femminismo/antifemminismo), qualcosa mi suggeriva una somiglianza tra le scene delle "battaglie" dei Ken e le battaglie degli eroi cavallereschi, ma ieri ho avuto un'illuminazione. Barbie e Agilulfo (il cavaliere inesistente, appunto) sono quasi lo stesso personaggio.
Agilulfo è infatti il perfetto cavaliere: armatura impeccabile, uomo tutto d'un pezzo (è il caso di dire), colto, intelligente, abile conversatore. Peccato che non esista, come Barbie, appunto, che è LA bambola perfetta. Entrambi conducono la loro perfetta esistenza, l'uno nel mondo molto imperfetto della corte di Carlomagno e l'altra in una sorta di Eden, finché qualcosa spezza le loro certezze e incrina armature e piante dei piedi.
Per entrambi, questa incrinatura ha a che fare con la corporeità: per Barbie è il pensiero della morte, che porta con sé la comparsa della cellulite, l'insonnia e dei piedi (guarda caso, come la Sirenetta: rimanere coi piedi ben piantati a terra può essere una tortura, almeno all'inizio). Agilulfo, che non può dormire perché se dormisse si deconcentrerebbe e potrebbe sparire, apparentemente snobba il corpo mortale dei compagni, ma quando il giovane Rambaldo gli parla del suo amore per Bradamante (cap. V), la sua reazione totalmente irrazionale è rivelatrice:
Il giovane [Rambaldo] non sapeva da che punto cominciare, non sapeva fingere pretesti per arrivare a quell'unico argomento che gli stava a cuore. Così, arrossendo, disse: - Conoscete Bradamante?
A quel nome, Gurdulù che stava avvicinandosi stringendo al petto una delle sue composite fascine, diede un salto. Per aria si sparpagliò un volo di legnette, di rami fioriti di caprifoglio, di basce di ginepro, di fronde di ligustro.
Agilulfo aveva in mano un'affilatissima bipenne. La brandì, prese la rincorsa, la diede contro un tronco di quercia. La bipenne passò l'albero da parte a parte tagliandolo di netto, ma il tronco non si spostò dalla base, tanto esatto era stato il colpo.
- Che c'è, cavalier Agilulfo! - esclamò Rambaldo in un soprassalto di spavento. - Che vi ha preso?
Agilulfo ora a braccia conserte esaminava il tronco intorno. - Vedi? - disse al giovane. - Un colpo netto, senza la più piccola oscillazione. Osserva il taglio com'è dritto.
Non avere un corpo ripara da alcuni problemi, non da altri. Se Gurdulù (la cui prima apparizione nel capitolo III mi ha ricordato la vicenda reale di Konrad Lorenz e dell'ochetta Martina) è talmente immerso nella materia da immedesimarsi con qualsiasi oggetto, persona o animale, Agilulfo è il suo esatto contrario, ascetico e impassibile. Prima ho riportato la fine del capitolo V, ma nello stesso capitolo vi è la scena potentissima dei tre (Agilulfo, Gurdulù e Rambaldo) che svolgono il compito di seppellire i soldati dopo la battaglia. Qui ognuno dei tre riflette sulla mortalità e sulla corporeità: se Agilulfo è tutto mente e Gurdulù tutta materia, Rambaldo è invece colui che impara a esistere tutto intero:
"O morto, io corro corro per arrivare qui come te a farmi tirar per i calcagni. Cos'è questa furia che mi spinge, questa smania di battaglie e d'amori, vista dal punto donde guardano i tuoi occhi sbarrati, la tua testa riversa che sbatacchia sulle pietre? Ci penso, o morto, mi ci fai pensare; ma cosa cambia? Nulla. Non ci sono altri giorni che questi nostri giorni prima della tomba, per noi vivi e anche per voi morti. Che mi sia dato di non sprecarli, di non sprecare nulla di ciò che sono e di ciò che potrei essere. Di compiere azioni egregie per l'esercito franco. Di abbracciare, abbracciato, la fiera Bradamante. Spero che tu abbia speso i tuoi giorni non peggio, o morto. Comunque per te i dadi hanno già dato i loro numeri. Per me ancora vorticano nel bussolotto. E io amo, o morto, la mia ansia non la tua pace."
La stessa cosa forse avrebbe potuto dirla anche la controparte umana di Barbie, Gloria (il personaggio interpretato da America Ferrera): essere umani implica morte, ansia e incertezza. Ma noi amiamo la nostra ansia, non la pace di chi non può (più) provare queste cose.
La cosa diventa evidente nell'episodio della notte... in bianco nel castello di Priscilla: mentre Gurdulù se la spassa con le fantesche e le sguattere (che se lo passano di mano in mano senza troppo coinvolgimento), l'ammaliante Priscilla non riesce a scalfire di un millimetro la bianca armatura di Agilulfo, totalmente immune al suo fascino, che comincia a parlare con lei di ogni argomento possibile fino all'alba. La nottata si conclude per tutti i personaggi, ma la conclusione del capitolo VIII è fantastica:
[...] Padrona, diteci di lui, del cavaliere, eh? com'era Agilulfo?
- Oh, Agilulfo!
E cosa dire di Bradamante, la celebre paladina, che Rambaldo insegue pensando sia un uomo e invece poi scopre essere una donna - in una scena che ci rende chiaro che Bradamante NON è Barbie, mettiamola così. Mentre leggevo questa scena esilarante pensavo all'ultima battuta del film Barbie (che non riporto per non rovinarvi la visione).
La Bradamante di Calvino è umana, umanissima: innamorata non corrisposta di Agilulfo perché
[...] quando una si è tolta la voglia di tutti gli uomini esistenti, l'unica voglia che le resta può essere solo quella d'un uomo che non c'è per nulla...
Obiettivamente, il rischio dell'idealizzazione è pericoloso e lei vi si sottrae solo alla fine, dopo aver scontato le sue pene (e anche qui non vi dico nulla perché il piacere di leggere questo breve romanzo non va guastato).
Ma come va a finire al povero Agilulfo? Il suo valore di cavaliere, e quindi la sua stessa esistenza, viene messa in dubbio e a repentaglio dalla rivelazione del giovane Torrismondo, deluso dalla vita tra i paladini e con il miraggio dei Santo Ordine del Graal. Anche qui, questo episodio ha a che fare con la corporeità (femminile) oltre che con le tipiche agnizioni e colpi di scena dei romanzi.
Come pretendere esattezza scientifica in qualcosa che è difficile da definire come le passioni dell'essere umano? La sua armatura immacolata di cavaliere si infrange, è il caso di dirlo, proprio su questo punto: il suo disonore non ammette l'attesa di un ultimo colpo di scena. Qui ricorda un po' le parole che Barbie dice al povero Ken, invitandolo a cercare se stesso senza farsi definire da nessun altro/a.
Ma è proprio a questo punto che l'involucro, vuoto, viene riempito dal corpo di Rambaldo, il cui primo atto, dopo essersi messo alla prova e aver ammaccato e rovinato l'armatura in battaglia, è andare da Bradamante. E lei? Sarà pronta ad accoglierlo anima e corpo?
Insomma, sì: secondo me, Barbie è Agilulfo che alla fine per fortuna riesce a diventare Rambaldo (e un po' Bradamante). Anche Barbie deve rinunciare alla propria perfezione, ma riesce a evolversi, mentre il povero Agilulfo, che stava antipatico a tutti, lascia in eredità la propria armatura al giovane tanto ansioso di vivere (come Bradamante).
Dopo aver letto il libro, magari guardate anche il geniale film di animazione che ne è stato ricavato da Pino Zac nel 1971 (qui lo potete trovare intero): in esso alcuni riferimenti vengono interpretati in modo più esplicito. Nel film la scena della notte con Priscilla ricorda molto da vicino una delle scene cruciali di Barbie, tra l'altro.
Non parla solo di questo, Il Cavaliere Inesistente. Godibile a prescindere, letto adesso rivela ancora una volta tutte le sue qualità di classico. Vi si legge in controluce tutta l'assurdità della guerra e le vicende del secondo dopoguerra, i rapporti tra maschile e femminile, addirittura (e se ne rendeva conto anche Calvino) l'impatto dell'Intelligenza Artificiale e - cosa estremamente interessante - la scrittura. Lascio a voi il piacere di scoprire questi e altri temi. Fatemi sapere che ne pensate!